L’Amazzonia è uno degli elementi chiave per l’equilibrio del clima globale, una perdita dal 20 al 25 per cento della copertura forestale nel bacino amazzonico che è composto da Brasile, Venezuela, Guyana francese, Guyana britannica, Suriname, Colombia, Ecuador, Perù e Bolivia, potrebbe essere sufficiente per raggiungere il punto di svolta catastrofico a causa della deforestazione, del degrado, degli incendi e del riscaldamento climatico.
Superare questo punto di non ritorno può significare una perdita permanente della foresta pluviale e un rapido spostamento dalla foresta pluviale agli ecosistemi aridi degradati con minore copertura arborea. Secondo gli studi, siamo vicini a questa cifra, poiché circa il 18 per cento dell’Amazzonia brasiliana è già stata deforestata.
Al governo dal 2019, Jair Bolsonaro, ha permesso che i tassi di deforestazione aumentassero nuovamente dopo alcuni anni in cui si erano ridotti. Attivisti e indigeni hanno presentato una accusa di genocidio davanti al Tribunale penale internazionale dell’Aia guidati dall’avvocato Luiz Henrique Eloy Terena nell’ottobre 2021, ma potrebbero volerci anni prima che la Corte decida.
L’Istituto di ricerca spaziale del Brasile (INPE) è incaricato di monitorare la deforestazione della foresta pluviale utilizzando immagini satellitari. Secondo le risultanze dell’INPE, l’area annuale deforestata è aumentata significativamente da quando Bolsonaro ha assunto la presidenza, mentre prima di allora, dal 2005, anno che ha rappresentato un record con 19.014 chilometri quadrati, i tassi di deforestazione sono scesi per un decennio, grazie al Piano d’azione per la prevenzione e il controllo della deforestazione in Amazzonia (PPCDAM) e ad altre misure.
Enormi incendi hanno devastato la regione nel 2019 e nel 2020, ma il presidente Bolsonaro ha negato la realtà, mentre attualmente nuovi e forti incendi causati da persone stanno distruggendo la regione, anche se periodi secchi possono favorire l’autocombustione. Ciò fa ritenere dagli esperti che sotto il governo di Bolsonaro si sia verificato il ritorno di una forte associazione tra incendi e deforestazione. Mentre negli anni precedenti, questa relazione è stata più debole ed è probabile che le grandi aree di foresta bruciata lo siano state per siccità estreme.
Bolsonaro considera la regione amazzonica principalmente come un’area economica e vuole sviluppare più aree per l’agricoltura e l’estrazione mineraria. Spesso ha anche rivendicato che l’Amazzonia è brasiliana, e che solo i brasiliani possono decidere cosa farne. Negando che su di essa ci sia un diritto della comunità internazionale a tutelarla. Non crede al riscaldamento globale e ha sempre favorito la lobby agricola. Durante gli anni del suo governo sono aumentate le minacce contro i popoli indigeni e gli ambientalisti, dato che gli agricoltori sono incoraggiati a impadronirsi illegalmente della terra e i taglialegna e i minatori d’oro illegali a invadere le aree protette.
Per attuare il suo programma di sfruttamento economico della selva, Bolsonaro ha concretamente indebolito le autorità ambientali preposte al controllo e ha congelato il fondo amazzonico. Non è dunque un caso che alle elezioni di domani, quando circa 156 milioni di elettori brasiliani rinnoveranno il Congresso e il Senato del Brasile, oltre a scegliere il nuovo presidente della Repubblica, per la prima volta ci sia un numero record di candidati indigeni. Sono 186 e rappresentano molte delle 256 etnie che vivono in Brasile.
L’obiettivo è quello di creare un gruppo parlamentare che possa difendere da Brasilia gli interessi degli indigeni per la tutela del loro ambiente minacciato dalla deforestazione, che costituirebbe una sciagura per il processo di riscaldamento globale. Lo stesso candidato di centro sinistra Lula ha promesso un ministero affidato ad un rappresentante delle popolazioni indigene in caso di vittoria.