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Lula da Silva ha presentato sabato a San Paolo la propria candidatura per le elezioni presidenziali del 2 ottobre. Secondo i sondaggi  parte favorito su Jair Bolsonaro. L’ultimo gli assegna circa il 45% delle intenzioni di voto, contro il 30% al leader dell’estrema destra brasiliana. Da quando gli sono state cancellate le condanne e restituiti i diritti politici l’anno scorso, è riuscito a riunire tutte le forze progressiste attorno alla sua candidatura. Promette di rafforzare Mercosur, Unasur, CELAC e BRICS, e ha assicurato un forte impegno ambientale.

“Governare – ha detto nel suo discorso di investitura – è soprattutto un atto di amore. La principale virtù di un uomo di governo è la capacità di vivere in armonia con le aspirazioni del popolo.  Sfortunatamente, non tutti i governanti sono in grado di comprendere, sentire e rispettare il dolore degli altri.  Nel 2003 ho detto che se alla fine del mio mandato tutti avessero fatto colazione, pranzo e cena, avrei compiuto la missione della mia vita.  Abbiamo combattuto la più grande battaglia contro la fame e l’abbiamo vinta.  Ma oggi so che devo compiere la stessa missione”.

Il suo ragionamento è stato tutto una lunga critica alle politiche messe in atto da Jair Bolsonaro, accusato di aver attentato alla sovranità e alla democrazia brasiliane attraverso lo smantellamento e la vendita delle aziende strategiche. Quando, invece, per tutelare la sovranità del Paese, bisogna difendere le sue risorse minerarie, forestali, marittime e la biodiversità, ritornando a quella politica che aveva portato il Brasile tra i protagonisti della scena internazionale.

“Eravamo un paese sovrano, rispettato nel mondo, che parlava alla pari con i Paesi più ricchi e più potenti.  Difendere la nostra sovranità è difendere l’integrazione del Sud America, dell’America Latina e dei Caraibi”, per i quali Lula ha l’altro giorno proposto l’introduzione di una nuova moneta unica il “sur”, per favorire lo sviluppo delle relazioni nella regione e superare la dipendenza dal dollaro.

Il risultato di quello “smantellamento”, ha spiegato, è “che siamo autosufficienti nel petrolio, ma paghiamo una delle benzine più costose del mondo, quotata in dollari, mentre i brasiliani percepiscono lo stipendio in real.  Difendere la sovranità è difendere Eletrobrás, la più grande compagnia di produzione di energia dell’America Latina, da coloro che vogliono che il Brasile si sottometta.”

Qualora eletto presidente, Lula difenderà le banche pubbliche, il credito a basso costo a chi vuole produrre e generare occupazione e per finanziare opere igienico-sanitarie e la costruzione di alloggi. Particolare sostegno darà  all’agricoltura familiare e ai piccoli e medi produttori rurali.  Mentre sosterrà il mondo della ricerca attraverso la difesa di università e istituzioni scientifiche e tecnologiche. Fino a qui il programma di Lula pare una riproposizione delle politiche economiche che già hanno caratterizzato il periodo dei suoi precedenti governi.

Allora, grazie ai prezzi alti delle materie prime, ha potuto favorire la crescita economica aumentando la spesa pubblica, e consentito l’avvio di programmi, come  “Bolsa Família”, che hanno fatto uscire dalla povertà estrema quaranta milioni di brasiliani. L’aumento del  salario minimo, ha infine permesso a milioni di brasiliani l’accesso al consumo con beneficio del mercato interno.

 Se la vita dei poveri era migliorata in misura considerevole, non sono state intaccate le profonde disuguaglianze sociali brasiliane, rimanendo intatto un sistema fiscale generoso coi ricchi e le imprese, e punitivo con la classe media.

L’aspetto più nuovo del suo discorso Lula lo ha riservato alla cura dell’ambiente e soprattutto alla situazione in Amazzonia. “Difendere la sovranità – ha detto – è difendere l’Amazzonia dalla politica di devastazione dell’attuale governo. Nei nostri governi abbiamo ridotto dell’80% la deforestazione, contribuendo a ridurre le emissioni di gas serra che causano il riscaldamento globale. 

Prendersi cura dell’ambiente – ha concluso – è soprattutto prendersi cura delle persone.  Cercare la convivenza tra lo sviluppo economico e il rispetto della flora, della fauna e dell’essere umano.  La transizione verso un nuovo modello di sviluppo sostenibile è una sfida globale”.

Una sfida che farà perno sulla difesa del possesso delle terre abitate dalle popolazioni indigene, che il governo di Bolsonaro ha colpito attraverso l’invasione illegale dei territori.

“Nessun Paese sarà sovrano finché le donne continueranno ad essere uccise per essere donne”, ha detto Lula, e finché “le persone continuano a essere picchiate per il loro orientamento sessuale”, un problema che affligge la società brasiliana. Come quello della fame, che ha fatto  sì che circa quarantuno milioni di persone stiano vivendo al di sotto della soglia della povertà, con una rendita mensile di 15,6 dollari.

Se il Brasile era uscito dalla mappa mondiale della fame della Fao, con Bolsonaro al governo ci è tornato. “Siamo il terzo produttore alimentare al mondo, ha ricordato Lula.  Siamo il più grande produttore di proteine ​​animali al mondo.  Produciamo cibo più che sufficiente per garantire una alimentazione di qualità a tutti.  Tuttavia, la carestia è tornata nel nostro Paese.  È necessario avanzare in una legislazione che garantisca i diritti dei lavoratori.  Ciò incoraggia la negoziazione su base civile ed equa tra datori di lavoro e dipendenti.  Questo aiuta a creare posti di lavoro migliori e fa girare la ruota dell’economia”.

Il prossimo mese di ottobre il Brasile dovrà scegliere quale strada intraprendere. Sarà, si è chiesto Lula, quella “della democrazia o dell’autoritarismo?  Della conoscenza e tolleranza o dell’oscurantismo e della  violenza?  Dell’educazione e della cultura o dei revolver e fucili?