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Haiti è in una cronica instabilità politica dalla fine della dittatura di Jean-Claude Duvalier nel 1986. La dittatura prima di François Duvalier, al potere dal 1957, e poi del figlio, costretto alla fuga nel 1986, ha lasciato 50.000 morti, mentre i Tonton Macoute, la polizia segreta dei Duvalier, ha continuato ad assassinare negli anni successivi. Con l’avvento della democrazia, l’instabilità e la corruzione si sono radicate. Il terremoto del 2010 che ha causato più di 300.000 morti è stato l’altro grave colpo inferto ad Haiti, seguito da quello verificatosi nel 2021 un mese dopo che il presidente Jovenel Moïse è stato ucciso da mercenari colombiani nella sua casa. Dalla morte di Jovenel Moïse, Haiti è un paese senza nessuno alla guida, senza un parlamento e un senato funzionanti, senza un sistema di raccolta dei rifiuti, senza quasi un sistema sanitario pubblico, con una scarsa presenza della polizia, con l’85% dei detenuti senza processo dato che i tribunali sono in pratica bloccati. Manca perfino la luce, per ottenere la quale il paese deve ricorrere ai generatori forniti da una una impresa privata.

La nuova ondata di violenze che ha colpito Port-au-Prince, la capitale di Haiti, uno dei paesi più poveri non solo del continente americano, ma del mondo intero, è aumentata in modo esponenziale dopo che il 28 febbraio si è saputo che il primo ministro Ariel Henry si era impegnato a tenere elezioni prima della fine di agosto 2025, nonostante nel 2022 abbia raggiunto un accordo con partiti, organizzazioni della società civile e membri del settore privato per lasciare il potere il 7 febbraio 2024, cosa che non è avvenuta. Il paese non ha organizzato elezioni parlamentari o generali dal 2016 e non ci sono più funzionari eletti, poiché il mandato dei precedenti si è da tempo esaurito.  In seguito al diffondersi della notizia, uomini armati hanno attaccato due commissariati di polizia, ucciso quattro agenti, sparato in vari quartieri e creato il panico negli aeroporti della capitale, colpendo tre aerei e provocando l’annullamento dei voli in partenza e in arrivo.

Il fine settimana si è presto trasformato in un incubo per la popolazione a causa dell’offensiva della criminalità che ha messo a ferro e fuoco a suo piacimento la capitale, generando il panico e mettendo in essere uno spettacolare assalto al più grande penitenziario nazionale nel corso del quale sono stati liberati 3597 detenuti sui 3.696 presenti, il che corrisponde al 97% degli ospiti del carcere.

Di fronte allo scoppio della violenza, i residenti hanno dovuto barricarsi in casa per evitare il peggio. In breve, il clima a Port-au-Prince è diventato tale che l’ambasciata degli Stati Uniti hanno consigliato ai loro cittadini di lasciare il paese appena possibile, mentre quella francese ha chiesto ai connazionali di rinunciare a circolare nei quartieri della capitale. Successivamente USA e Unione Europea hanno ridotto il personale delle loro ambasciate.

I pandilleros rivendicano di controllare l’80% della capitale, costringendo decine di migliaia di persone a lasciare le loro abitazioni per scappare per il timore di una violenza ormai fuori controllo. Il portavoce delle Nazioni Unite Stéphane Dujarric ha detto nei giorni scorsi che la violenza ad Haiti ha causato l’abbandono delle proprie case da parte di 15.000 persone. Port-su-Prince è in mano a bande e gruppi armati, mentre il paese affonda in una miseria che travolge milioni di persone. Con il governo che appare totalmente incapace di affrontare la grave situazione, non riuscendo a garantire il benessere e la sicurezza della sua popolazione. La quasi totale assenza dello Stato spiega anche come le bande armate abbiano potuto prendere il suo posto, trasformandosi in una sorta di nuovo Stato in cui i cittadini sono costretti a vivere sotto le ali protettive delle bande che fanno pagare le tasse e concedono i permessi per costruire o riparare le case. Port-au-Prince è precipitata nel terrore, dopo che Jimmy “Barbecue” Cherizier, un ex ufficiale di polizia che guida una delle principali bande armate del paese, ha invitato i vari gruppi armati a unirsi per rovesciare Ariel Henry. Le bande criminali si sono federate nella nuova sigla ‘Vivre Ensemble’.

Ariel Henry ha esercitato il ruolo di primo ministro con la maggioranza della popolazione contro, ed avrebbe dovuto lasciare l’incarico all’inizio di febbraio. Era stato nominato il 5 luglio 2021 come primo ministro da Jovenel Moïse, il presidente di Haiti. Due giorni dopo, quest’ultimo è stato assassinato a casa sua. Da allora, Henry, la cui autorità è stata riconosciuta da potenze come Canada, Stati Uniti, Francia e altri paesi occidentali, è rimasto al potere, nonostante la sfiducia della popolazione e la richiesta di elezioni democratiche da parte della società civile haitiana. Il 7 febbraio il mandato di Henry è scaduto, ma il presidente ha ignorato la richiesta di cedere il potere.

Prima dello scoppio della violenza, Ariel Henry era in Kenya dove ha siglato un accordo per una missione multinazionale concordata con l’Onu. In sua assenza, domenica il governo ha annunciato l’introduzione di uno stato di emergenza di tre giorni, rinnovato poi per un mese, e un coprifuoco notturno. Lo scorso gennaio l’ONU aveva reso noto noto che più di 8.400 persone erano state vittime delle bande l’anno passato. Un numero che comprende omicidi, feriti e rapimenti, e che corrisponde a più del doppio di quanto era stato registrato nel 2022. Si stima che nel paese operino 200 bande, e che solo a Port-au-Prince ci siano circa 95 gruppi criminali attivi. Uno dei due più potenti è comandato appunto da Barbecue, che tiene conferenze stampa, guadagna milioni di dollari e ha persino bloccato il porto della città impedendo l’ingresso di merci e cibo.

L’opinione più diffusa è che l’obiettivo dei gruppi violenti sarebbe quello di rafforzare le proprie posizioni prima dell’arrivo ad Haiti della missione multinazionale di sostegno alla sicurezza, che comporterà il dispiegamento di un contingente di 1.000 poliziotti kenioti deciso dall’ONU lo scorso ottobre. Dal canto suo, la polizia haitiana dispone di circa 9.000 agenti, generalmente peggio armati delle bande criminali, con i quali deve assicurare la sicurezza a più di undici milioni di persone. Mentre secondo le valutazioni dell’ONU il paese avrebbe bisogno di avere un corpo di polizia con almeno 26 mila addetti.

Secondo dati raccolti dalle Nazioni Unite, più di 800 persone sono morte a gennaio, una cifra che rivela l’esistenza di una guerra interna che dissangua la nazione caraibica. Come già accade in altre nazioni dell’America Latina, la violenza provoca l’espulsione di decine di migliaia di haitiani. In buona misura diretti alla volta della Repubblica Dominicana, il paese vicino, destinazione principale di quella diaspora. La tensione causata dal gran numero di migranti che arrivano, ha fatto sì che il suo presidente, Luis Abinader, abbia recentemente lanciato un disperato appello per “salvare” Haiti.

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite aveva approvato all’inizio dell’anno scorso una risoluzione per autorizzare una missione multinazionale di sostegno alla sicurezza ad Haiti, ma Abinader ha denunciato che gli impegni di aiuto sono rimasti lettera morta. Il segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha affermato che Haiti è tra le nazioni che soffrono più di fame, il che rafforza il caos e la violenza. “Una pancia vuota è combustibile per l’agitazione”, ha detto Guterres. Mentre da martedì 13 l’ONU ha deciso di ritirare dal paese il suo personale non essenziale.

Finché si è giunti a quello che sembra poter essere l’inizio di una nuova speranza di uscita dalla crisi, quando l’11 marzo il segretario di stato americano Antony Blinken ha fatto sapere che il suo paese aumenterà di 100 milioni di dollari il suo aiuto per finanziare una forza multinazionale ad Haiti per frenare la crisi di violenza che il paese sta vivendo, portando l’aiuto promesso a 300 milioni di dollari. Allo stesso modo, ha detto che gli Stati Uniti destineranno 33 milioni in aiuti umanitari. Aiuti economici per 20 milioni sono stati annunciati anche dall’Unione Europea. Le dichiarazioni di Blinken sono arrivate alla fine di un vertice in Giamaica a cui hanno partecipato anche diversi leader della Comunità dei Caraibi (Caricom).  Il primo ministro haitiano, Ariel Henry, non era presente, ma suoi emissari hanno partecipato all’incontro. Alla fine, Henry ha annunciato il 12 marzo che si dimetterà una volta creato un consiglio presidenziale di transizione, capitolando di fronte alla pressione internazionale che cerca di salvare il paese sopraffatto da bande violente. Ma, di fronte a disaccordi sorti internamente, molti dei movimenti non hanno ancora inviato i nomi di coloro che faranno parte dell’istituzione, che dovrà nominare un primo ministro ad interim e preparare la strada per lo svolgimento delle elezioni presidenziali.

Quanto agli Stati Uniti, oltre ai paesi caraibici, non possono permettersi che Haiti cada in mano alle bande criminali per i riflessi che ciò avrebbe su migliaia di disperati che potrebbero prendere la strada dell’emigrazione. Con i risultati facilmente prevedibili in un anno di elezioni per gli USA. Per questo l’amministrazione americana aveva fatto conoscere il suo desiderio che il consiglio di transizione potesse essere formato in 24 o 48 ore, e che la nomina di un primo ministro ad interim avvenisse “senza indugio”. Una soluzione che le divisioni interne nei partiti haitiani sembrano ora allontanare.