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Di fronte a centinaia di migliaia di persone che gremivano Plaza de Bolívar a Bogotà Gustavo Petro ha giurato fedeltà alla Costituzione colombiana ed ha assunto la carica presidenziale. L’ex guerrigliero del Movimiento 19 de Abril (M-19) e primo presidente di sinistra della Colombia è stato investito dalla senatrice María José Pizarro, figlia di Carlos Pizarro, suo compagno nella guerriglia assassinato nel 1990 quando era candidato presidenziale favorito. Tra l’enorme folla accorsa ad assistere alla cerimonia, si sono viste sventolare bandiere dell’M-19. Al suo arrivo alla Casa de Nariño, sede dell’esecutivo, Petro ha ricevuto gli onori militari da parte di quelle forze armate che spesso hanno visto in lui un nemico, o che comunque lo vedono con sospetto per la sua partecipazione alla guerriglia. Non a caso, settimane fa il comandante generale dell’esercito Eduardo Zapateiro aveva rassegnato le dimissioni per non dover accompagnare il neo presidente nella cerimonia di investitura. Petro succede a Iván Duque, la cui popolarità aveva toccato il fondo, governerà per quattro anni i cinquanta milioni di colombiani con un programma di cambiamento atteso dopo decenni di governi conservatori. 

Nel congedarsi dal potere, Duque non ha rinunciato all’ultimo sgarbo negando a Petro la teca che contiene la spada del libertador Simón Bolívar, uno dei simboli dell’investitura, che ha potuto raggiungere il neo presidente solo dopo che erano cessati i poteri del suo predecessore. La vicenda della spada merita di essere ricordata. Essa fu infatti fu il primo atto della guerriglia dell’M-19 che la sottrasse il 17 gennaio 1974 dalla Quinta de Bolívar, una casa museo nel centro di Bogotà dove era esposta. Dopo gli accordi di pace del 1990 il movimento guerrigliero restituì il cimelio che da allora è ospitato nella sede del governo. Per Petro la spada ha un grande valore simbolico, ed è per questo che voleva che fosse nel suo atto di investitura, insieme alla scultura della colomba della pace, creata da Botero per la firma dell’accordo di pace con le FARC nel 2016.

Petro, rappresentante di una sinistra più politica, avrà come vice Francia Márquez, esponente dei movimenti afro, ambientalisti e femministi. Incarna un progressismo molto differente dall’onda rosa dell’inizio del secolo, che ha basato le sue fortune sullo sfruttamento delle risorse ambientali. Al contrario di chi l’ha preceduto Petro è il portatore di una forte agenda ambientale unita alla rivendicazione dei diritti di identità delle comunità minoritarie. E in lui il programma di pace e di giustizia sociale è imprescindibile da giustizia ambientale, cambiamento climatico e transizione energetica.

Nel suo discorso di un’ora Petro ha fatto appello all’unione latinoamericana, ha annunciato grandi riforme tra cui quella tributaria, e ha dichiarato di voler lavorare per la pace in Colombia, dove operano ancora alcuni gruppi armati dell’Esercito di Liberazione Nazionale, alcune frazioni dissidenti delle FARC, e potenti bande della droga come il Clan del Golfo, che in larghe aeree del paese ancora impongono la loro legge. Criticando la mancanza di unità dei paesi latinoamericani, Petro ha affermato che lavorerà “per raggiungere una pace vera e definitiva” che garantisca “una vita giusta e sicura”, aggiungendo che “è ora di lasciarsi alle spalle i blocchi, i gruppi e le differenze ideologiche per lavorare insieme”, condizione grazie alla quale “la voce dell’America Latina sarà ascoltata nel concerto dei popoli del mondo”.

Un passaggio importante del suo discorso è stato l’invito rivolto a “tutte le persone armate a lasciare le armi nelle nebulose del passato” in modo che “la pace sia possibile” e quindi “porre fine, una volta per tutte, a sei decenni di violenza e conflitti armati”, accettando i “benefici legali in cambio della pace, in cambio della definitiva non ripetizione della violenza, di lavorare come proprietari di un’economia prospera, ma legale, che ponga fine all’arretratezza delle regioni”.

In quest’ottica tornerà utile l’annunciata normalizzazione delle relazioni diplomatiche e commerciali con Nicolás Maduro in Venezuela, interrotte dal 2019, e con la stessa Cuba, al fine di poter portare a termine i colloqui di pace  con l’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN), l’ultimo gruppo guerrigliero riconosciuto nel paese, che dalla vittoria di Petro si era dichiarato intenzionato a trattare.

Per quanto riguarda la produzione di coca, di cui la Colombia rimane il paese più importante al mondo, Petro ha sostenuto che “è tempo di una nuova convenzione internazionale che accetti che la guerra alla droga sia completamente fallita” dato che ha lasciato un milione di latinoamericani uccisi negli ultimi quaranta anni”, ed ha proposto un cambio verso “una politica di forte prevenzione del consumo nelle società sviluppate”. Nel suo discorso, il presidente ha ricordato che “il 10% della popolazione colombiana ha il 70% della ricchezza”, una realtà che considera assurda e che giustifica la sua intenzione di presentare una riforma fiscale che possa generare risorse da destinare alla popolazione più vulnerabile. Dopo il COVID, l’economia è in recupero anche se l’inflazione ha raggiunto il 10,2% nella variazione anno su anno a luglio, mentre pesa la disoccupazione al 11,7% e la povertà colpisce il 39% della popolazione.

“L’uguaglianza è possibile se siamo in grado di creare ricchezza per tutti e se siamo in grado di distribuirla in modo più equo. Ecco perché proponiamo un’economia basata sulla produzione, sul lavoro e sulla conoscenza. Ed è per questo che proponiamo una riforma fiscale che generi giustizia”. Un passaggio importante è stato destinato all’intenzione di riformare le forze di polizia antisommossa coinvolte nelle violazioni dei diritti umani durante la repressione delle massicce proteste degli ultimi anni. Altro punto sostanziale del suo discorso ha riguardato la necessità di imporre un lento cambiamento alle forze armate, spesso accusate di corruzione e di aver agito violando i diritti umani durante il lungo periodo delle guerriglie.

Per il suo gabinetto ha scelto persone di varie sensibilità politiche, talvolta riscuotendo anche il gradimento dell’opposizione e cercando di mandare segnali tranquillizzanti agli investitori. Ma senza mai venire meno al suo programma di fondo. Gode di una popolarità del 64%, la più alta per un presidente dal 2005, e grazie alle sue doti di tessitore è riuscito a compattare una importante maggioranza parlamentare. Oggi il suo primo giorno di lavoro, consapevole che stare al governo non necessariamente significa esercitare il potere.