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Dopo una flessione dei flussi migratori dovuta alla diffusione del Covid-19 e il fenomeno di rientro in Venezuela causato dalla perdita del lavoro nei luoghi dove avevano trovato rifugio, riprende l’esodo dei venezuelani verso i paesi vicini in cerca di ospitalità. A spingerli è la grave situazione economica del paese ridotto alla fame dalle sanzioni imposte dall’amministrazione Trump e dal fallimento delle misure economiche del governo di Nicolás Maduro.

Secondo le autorità migratorie e le organizzazioni internazionali, nelle ultime settimane stanno crescendo i viaggi alla ricerca di un futuro migliore e aumenta di pari passo la pericolosità dei trasferimenti a causa della chiusura dei confini terrestri.

Migración Colombia, l’agenzia preposta alla migrazione, ha calcolato che circa 200 migranti e rifugiati venezuelani entrano in Colombia in media ogni giorno attraverso transiti irregolari, invertendo il calo degli arrivi registrato durante gli ultimi sei mesi. Dal momento che la Colombia ha chiuso le proprie frontiere terrestri con i paesi confinanti nell’intento di contrastare la diffusione del coronavirus. Vista la situazione, l’agenzia colombiana ha raccomandato ai migranti venezuelani di evitare i valichi di frontiera non autorizzati, al fine di non mettere a repentaglio la loro stessa vita.

Anche le Nazioni Unite nei giorni scorsi hanno lanciato un allarme per l’aumento degli esodi, calcolati dall’Alto commissariato per i rifugiati tra i cinquecento e i settecento al giorno. Poiché le frontiere restano chiuse in tutta la regione, le persone attraversano rotte informali dove operano individui armati illegali e trafficanti, esponendosi a enormi rischi di violenza, sfruttamento e tratta.

Molti migranti hanno riferito di aver subito furti, estorsioni, violenze e abusi nelle zone di transito e di confine. Dei nuovi arrivati in Colombia, denuncia l’Unhcr, circa il 70 per cento ha compiuto il viaggio a piedi e poiché le condizioni all’interno del Venezuela continuano a peggiorare, molti arrivano in Colombia deboli e denutriti, avendo affrontato stenti per molti mesi.

Oltre agli esodi via terra, continuano anche le partenze via mare attuate con imbarcazioni piene di gente e inadatte ad una sicura navigazione. Nei giorni scorsi ha fatto scalpore il naufragio di una imbarcazione al largo della località venezuelana di Guiria, nel Golfo di Paria, che divide il Venezuela da Trinidad e Tobago. Il bilancio delle vittime somma per il momento a 28 morti tra i quali alcuni minori.

L’imbarcazione era partita lo scorso 6 dicembre nel tentativo di raggiungere le isole caraibiche. Una settimana dopo la Guardia costiera venezuelana ha rinvenuto i primi 19 corpi senza vita a circa 13 chilometri dalla costa. “Questo tragico incidente ci ricorda i rischi estremi dei viaggi in mare e di altri movimenti transfrontalieri irregolari intrapresi da rifugiati e migranti venezuelani”, ha dichiarato Eduardo Stein, rappresentante speciale congiunto dell’Unhcr e dell’Oim per i rifugiati e migranti venezuelani.

Per i dati in possesso delle Nazioni Unite sono circa 5,4 milioni i migranti e i rifugiati venezuelani nel mondo, la maggior parte dei quali si trova in America Latina e nei Caraibi. Nel maggio 2019, 16 mila sono stati registrati dal governo di Trinidad e Tobago, il cui primo ministro, Keith Rowley, ha in più occasioni rivendicato il diritto di non aprire i propri confini ai migranti. Questo è il secondo naufragio registrato al largo del Venezuela quest’anno. Nel 2019 tre barche sono state segnalate come disperse tra il Venezuela e le isole caraibiche di Trinidad e Curacao, con la perdita di almeno 80 vite umane.