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Un attacco condotto da un gruppo armato sabato notte ha lasciato 15 morti e numerosi feriti in un bar della città industriale di Salamanca nello stato di Guanajuato, dove opera una delle maggiori raffinerie di petrolio del paese, e dove maggiormente si sono verificati i furti di combustibile che da decenni causano un danno che ammonta a tre miliardi di dollari all’anno allo stato.

Un’attività illegale contro la quale il governo di Andrés Manuel López Obrador ha scatenato nei mesi scorsi la guerra del “huachicoleo”, il furto di combustibile operato dalla criminalità organizzata, che nel Guanajuato ha uno dei centri più importanti.

All’avvio della campagna a gennaio, la malavita aveva risposto con un manifesto di minacce al presidente per fermare le operazioni della polizia. Il fatto di sabato notte deve essere inquadrato come una reazione alla recente visita di López Obrador, e soprattutto alla repressione condotta dalle forze dell’ordine.

Di sicuro è un diretto attacco al suo programma di governo che, oltre a mettere fine alla corruzione, sgominare la povertà di milioni di messicani e mettere fine al narcotraffico, si propone di assestare un colpo definitivo alla violenza criminale. Tanto più che esso è avvenuto alla vigilia di domenica 10 marzo, anniversario dei primi cento giorni di governo. Un periodo durante il quale il presidente, eletto col 53% dei voti, secondo alcuni sondaggi avrebbe incrementato all’80% l’appoggio dei messicani.

Per quanto riguarda la lotta al furto dei combustibili, nonostante siano morte più di un centinaio di persone e la stragrande maggioranza degli arrestati siano nuovamente in libertà, López Obrador può vantare di aver fatto fare un certo risparmio allo stato, anche se è ben lungi dall’aver vinto la battaglia. Ciò non ha incrinato la fiducia dei suoi connazionali nella sua capacità di mantenere le promesse.

Di certo questo si deve anche alla strategia di comunicazione che il presidente ha adottato, che prevede da lunedì a venerdì una conferenza stampa in diretta alle sette del mattino, in cui compare in televisione e sui social con ministri o funzionari ai quali è chiesto di spiegare l’operato del governo.

Incolpando dei problemi e dei ritardi i suoi predecessori, AMLO è riuscito a far passare il messaggio di quanto sia difficile governare quella che è la seconda economia latinoamericana. Paragonandola recentemente a un elefante che procede con lentezza e che lui è impegnato a spingere.

Così, offrendo agli occhi del paese i problemi reali, riesce a comunicare che per risolverli è necessario il tempo.  Mentre, circa la sua immagine, ha saputo far fruttare i tagli agli sprechi nella macchina di governo, sacrificando in primo luogo se stesso e la residenza presidenziale, dove ha deciso di non risiedere e che ha aperto al pubblico.

In tal modo, se il bilancio dei primi tre mesi di mandato rappresenta dei chiaroscuri, dalla situazione economica che appare leggermente peggiorata, alla criminalità dove le cose non sembrano essere migliorate, López Obrador conta ancora sulla fiducia dei suoi concittadini.

Narra di aver ereditato un Messico allo sfascio, e di certo ha ragione. A differenza dei predecessori, controlla il parlamento. Gli rimane il tempo, per legge limitato a un solo sessennio di mandato. Il grosso rischio è che sia insufficiente a rispondere all’attesa che ha generato nell’intero paese.