La personalità di Pepe Mujica risalta per l’unicità della sua biografia, che, in primo luogo, è stata quella del guerrigliero tupamaro che ha impugnato le armi ed è stato torturato e imprigionato per 14 anni. Quella del Movimiento de Liberación Nacional – Tupamaros è stata una guerriglia di ispirazione castrista, con la differenza che, per la configurazione geografica dell’Uruguay, al contrario di quella cubana, fu una guerriglia urbana. Durante la sua carcerazione, Pepe fu ostaggio della dittatura, che minacciava di rivalersi contro di lui e gli altri suoi compagni in caso di azioni violente da parte dell’opposizione. Un periodo che il futuro presidente uruguaiano ha quasi totalmente passato in completo isolamento. Chiuso in un braccio ricavato da un pozzo sotterraneo, durante il quale ha perso tutti i denti per le privazioni cui è stato sottoposto. Divoratore di libri, in seguito ha rivelato che la tortura più grande che aveva subito, era stata la proibizione di leggere.
Finita la dittatura nel 1985, Mujica riacquista la libertà grazie ad una amnistia della quale beneficiano sia i guerriglieri sia i golpisti, con l’eccezione dell’ex dittatore Juan María Bordaberry, condannato per i suoi crimini. Messo alle spalle il lungo periodo di detenzione, Pepe ha saputo guidare il cambiamento sociale di una sinistra che, abbandonata la retorica rivoluzionaria, è riuscita ad offrire la migliore espressione di una socialdemocrazia sudamericana, abbracciando con convinzione la via delle riforme.
È stato deputato e senatore tra il 2005 e il 2008 e ministro dell’allevamento, agricoltura e pesca nel governo di Tabaré Vázquez. Ha guidato il Movimiento de Participación Popular, (MPP), che è il raggruppamento più importante del Frente Amplio, la coalizione costituita dai partiti socialista e comunista, alla quale hanno aderito anche la Democrazia Cristiana, ed altre formazioni minori di sinistra. Ma, soprattutto, è stato presidente dell’Uruguay dal 2010 al 2015, quando nel paese ha introdotto la depenalizzazione dell’aborto, il riconoscimento del matrimonio gay, e la legalizzazione della marijuana. Provvedimenti che gli hanno guadagnato il plauso dei progressisti a livello mondiale.
La politica del suo governo ha aumentato la spesa sociale rispetto al totale della spesa pubblica che è passata dal 60,9% al 75,5% tra il 2004 e il 2013. Nello stesso periodo, il tasso di disoccupazione è diminuito dal 13 al 7%, il tasso di povertà nazionale dal 40 all’11% e il salario minimo è stato aumentato del 250%. L’Uruguay è diventato, secondo la Confederazione Sindacale Internazionale, il paese più avanzato nelle Americhe in termini di rispetto dei “diritti fondamentali del lavoro, in particolare la libertà di associazione, il diritto alla contrattazione collettiva e il diritto di sciopero”. La sua presidenza è stata caratterizzata da sorprese permanenti, infrazioni al protocollo, dichiarazioni roboanti e trasformazioni storiche, ma anche da fallimenti, controversie e denunce dell’opposizione.
Mujica sosteneva che a guidare la vita di ciascuno dovesse essere il principio della sobrietà. Viveva in una piccola fattoria a Rincón del Cerro, alla periferia di Montevideo, che non ha lasciato nemmeno durante il suo mandato presidenziale, dove lavorava la terra guidando il suo trattore. Pepe amava coltivare le verdure e i fiori nella sua fattoria, che da giovane aveva venduto. “Se voglio avere libertà, devo avere tempo per vivere”, ha detto. Ed ha amato la bicicletta, che ha montato come atleta in gioventù. Del suo stipendio di massima carica dello Stato tratteneva per sé più o meno 800 euro al mese. E mentre un 20% lo dava al suo partito, il resto andava al cosiddetto “Plan Junctos”, un’iniziativa per costruire alloggi per i più poveri della società, e alla scuola agraria che si trova di fronte alla casa in cui ha vissuto per più di 40 anni. Ciò gli ha procurato il soprannome di “Presidente più povero del mondo”.
“Mi chiamano il presidente più povero, ma io non mi sento povero. Poveri sono quelli che lavorano per cercare di mantenere uno stile di vita costoso e vogliono sempre di più. È una questione di libertà. Se non hai molti beni, non devi lavorare per tutta la vita come schiavo per mantenerli e poi hai più tempo per te stesso”. Commentando il suo stipendio, in una intervista ad un giornale colombiano ha detto che quella quantità di denaro gli era sufficiente, tanto più che molti suoi connazionali devono vivere con meno. “La mia definizione può essere quella di Seneca: ‘Povero è colui che ha bisogno di molto’. O quella degli Aymara. Sai cos’è un individuo povero per gli Aymara? Quello che non ha comunità, chi è solo”, ha detto. “Può essere la musica, la scienza, qualsiasi cosa. Vivere per pagare le rate? Questo non è vivere. Perché vivere significa sognare, credere in qualcosa di superiore, in qualcosa di creativo”.
Amava girare in Vespa, con sul sedile posteriore Lucia Topolansky, la ragazza che aveva conosciuto al tempo della guerriglia che poi è diventata la compagna della sua vita. Alla fine del 1994, quando è stato eletto deputato per la prima volta ed ha dovuto recarsi al Palazzo Legislativo nel suo primo giorno come membro del Congresso, c’è andato con il suo solito abito da contadino. Parcheggiando la sua vecchia Vespa nell’area riservata ai deputati, un addetto alla sicurezza gli si è avvicinato per dirgli che non poteva lasciare lì il suo veicolo, abituato alle auto di lusso con autista dei politici del Paese.
“Quanto tempo pensa di lasciarla?”, gli ha chiesto il poliziotto del palazzo. “Se non mi cacciano prima, spero di restare cinque anni”, ha risposto Mujica, sorridendo. Oltre alla sua vecchia Vespa, Pepe possedeva una vecchia Volkswagen Scarabeo celeste del 1987, che ha rifiutato di vendere all’epoca per più di un milione di dollari. Quella vecchia auto ha simboleggiato per sempre il suo rifiuto del lusso ed è diventata un’icona di austerità e coerenza politica.
“Appartengo a una generazione che pensava che il socialismo fosse dietro l’angolo, la mia giovinezza appartiene al mondo dell’illusione. Il passo della storia ci ha dimostrato che era molto più difficile E abbiamo imparato che, per avere un’umanità migliore, la questione culturale è tanto o più importante della questione materiale. Si può cambiare il materiale ma se non cambia la cultura non c’è cambiamento. Il vero cambiamento è dentro la testa. Molti che erano di convinzione socialista sono emigrati verso il capitalismo e poi ci sono altri, come me, che cercano di amministrare ciò che possiamo del capitalismo. Ma la soluzione non è il capitalismo; bisogna trovare qualcos’altro, altre strade. Apparteniamo a quella ricerca”.
Come ha scritto recentemente l’ex presidente cilena Michele Bachelet per il quotidiano spagnolo El País, “La morte di José Pepe Mujica lascia un immenso vuoto, non solo nel cuore del popolo uruguaiano, ma anche in America Latina e in tutti quei luoghi del mondo dove la politica è apprezzata come un atto di servizio, un’espressione di coerenza e un percorso verso la giustizia. Pepe era molte cose: militante, prigioniero politico, presidente. Ma soprattutto era un uomo libero. Libero di pensare con profondità, di dire ciò che gli altri tenevano in silenzio, di vivere con sobrietà e di lottare, con testardaggine e tenerezza, per un mondo più umano. La sua vita è stata segnata dalle avversità, da anni di reclusione, dal dolore lasciato dalla violenza politica. Ma non l’abbiamo mai visto arrendersi all’odio o al risentimento. È uscito di prigione con più convinzioni che rancori, con più sogni che rimproveri.”
Pepe Mujica è stato un convinto sostenitore di una America Latina unita, perché in un processo di unificazione vedeva la possibilità di combattere le disuguaglianze che fanno di quell’area geografica una delle più diseguali al mondo. E al Congresso dell’Unione Nazionale degli Studenti del Brasile, nel 2023, ha detto: “La democrazia non è perfetta. La democrazia è piena di difetti perché sono i nostri difetti umani, ma fino ad oggi non abbiamo trovato niente di meglio. Pertanto, è facile perderla ed è difficile riguadagnarla. Devono prendersi cura di lei.”
Famoso il suo discorso al vertice ambientalista Río+20: “Non veniamo sulla terra solo per svilupparci, così, in generale. Veniamo al mondo per essere felici. Perché la vita è breve e se ne va. E nessun bene vale come la vita e questo è l’essenziale. (….) Non si tratta di proporci il ritorno all’epoca dell’uomo delle caverne, né di erigere un “monumento all’arretratezza’. Ma non possiamo continuare, a tempo indeterminato, governati dal mercato, ma dobbiamo governare il mercato. Per questo dico, nel mio modesto modo di pensare, che il problema che abbiamo è di natura politica. (….) Ma dobbiamo renderci conto che la crisi dell’acqua e dell’aggressione all’ambiente non sono la causa. La causa è il modello di civiltà che abbiamo messo in piedi. E quello che dobbiamo rivedere è il nostro modo di vivere”.
Per queste sue doti umane e politiche che lo hanno fatto sempre sentire uno della massa, Pepe è stato probabilmente anche il leader politico mondiale che ha ricevuto il maggior riconoscimento culturale in varie arti, in particolare per la musica popolare. Lo hanno omaggiato Manu Chao con le sue canzoni, e soprattutto il compositore francese Armand Amar con una sinfonia a lui intitolata. Non c’è nessuno tra i musicisti impegnati in cause politiche progressiste, che non abbia richiamato nei suoi concerti la figura dell’ex presidente dell’Uruguay, dagli U2, al chitarrista ed attivista newyorkese Tom Morello.
“La morte rende la vita un’avventura. L’unico miracolo che c’è al mondo per ognuno di noi è essere nati. (..,) Mi sono dedicato a cambiare il mondo e non ho cambiato un cazzo, ma mi sono divertito. E ho trovato molti amici e molti alleati in quella follia di cambiare il mondo per migliorarlo. E ho dato un senso alla mia vita.”
Pepe Mujica era un uomo di una incredibile empatia, la sua curiosità intellettuale, il suo linguaggio semplice di vecchio saggio, la sua fedeltà indefettibile ai valori per i quali ha sempre vissuto e combattuto, il suo rispetto per gli avversari, la sua grande capacità di ascolto, le sue critiche rivolte anche contro esponenti della sua parte (contro le derive autoritarie di Venezuela e Nicaragua, e la presunzione di certi leader della sinistra latinoamericana di essere insostituibili, solo per fare qualche esempio) lo hanno reso caro, oltre che alla sua, alla “gente” di tutto il mondo.