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Con le accuse di terrorismo, sedizione e cospirazione è stata arrestata questa notte in un’operazione alla periferia della città di Trinidad, capoluogo del dipartimento del Beni in Bolivia Jeanine Áñez Chávez, ex presidente ad interim del Paese andino, che aveva sostituito Evo Morales al Palacio Quemado di La Paz dopo la sua rinuncia e la fuga a Città del Messico.

Nel quadro della stessa inchiesta e con le stesse imputazioni sono parimenti finiti agli arresti l’ex ministro dell’Energia Álvaro Rodrigo Guzmán, quello della Giustizia Álvaro Coimbra, Arturo Murillo, ex ministro degli Interni già rifugiato negli Usa, e quello della Difesa Luis Fernando López.

Allo stesso tempo non sono stati risparmiati i vertici militari e della polizia al comando al tempo dei disordini che si scatenarono in tutto il Paese al seguito delle elezioni presidenziali del 20 ottobre 2019 che avevano dato vincitore Evo Morales con il suo Movimiento al Socialismo (MAS), accusati di aver truccato il risultato che avrebbe invece consentito a Carlos Mesa, suo avversario, di andare al ballottaggio con più di qualche possibilità di spuntarla sull’ex sindacalista cocalero.

La reazione della popolazione fu allora decisa, con migliaia di persone in piazza a protestare contro i brogli elettorali che avrebbero consentito a Morales, in carica dal gennaio 2006, di riperpetuarsi alla presidenza della Bolivia nonostante gli fosse impedito dall’esito del referendum costituzionale indetto il 21febbraio 2016, con il quale i boliviani, pur di stretta misura, gli avevano negato la possibilità di correre nuovamente.

Una decisione in seguito bypassata grazie a una sentenza del Tribunale Costituzionale Plurinazionale (TCP) con la quale venivano riconosciuti i diritti politici di Evo di ripresentarsi alle elezioni, a scapito degli articoli della Costituzione che limitavano a due la quantità di volte che una persona può essere eletta alla presidenza della Bolivia.

La decisione del TCP aveva successivamente fatto nascere in tutto il Paese un forte movimento che chiedeva il rispetto del risultato del referendum del 2016, accusando il TCP di essere un docile strumento in mano a Morales.

La controversa vicenda delle elezioni del 2019, con il blocco per ore del flusso dei risultati quando già si prefigurava il ballottaggio e la successiva assegnazione della vittoria al primo turno di Evo, aveva scatenato la rivolta popolare, a tal punto che i vertici della polizia e dell’esercito si erano sentiti in dovere di consigliare a Morales di farsi da parte al fine di evitare un bagno di sangue.

Sentita anche l’Organizzazione degli Stati Americani, Morales decise allora di dimettersi, seguito da un’ondata di dimissioni di militanti del MAS che hanno lasciato scoperte le più alte cariche dello Stato, ivi compresa quella della vice presidenza della repubblica.

Il seguito è conosciuto. Spinto dai consigli dei vertici militari e dal diffondersi a macchia d’olio della protesta, Morales decide di lasciare il Paese, trasferendosi prima in Messico, poi a Buenos Aires dove ottiene lo status di rifugiato politico. Nel frattempo, il vuoto politico lasciato dalle dimissioni delle alte cariche del MAS spiana la strada a Jeanine Áñez, seconda vice presidente del parlamento, personaggio di secondo piano e un po’ scolorito della politica boliviana, messa lì dal suo partito nella consapevolezza che la carica era priva di reale potere, che in virtù della Costituzione boliviana prende l’interim della presidenza della repubblica.

Questi in breve i fatti, anche se dopo qualche tempo Morales comincerà ad abbracciare una narrazione che lo avrebbe visto vittima di un colpo di stato, come sempre architettato dalle forze dell’impero, tesi ripetuta anche in Volveremos, il libro in cui ricostruisce dal suo punto di vista quanto successo in Bolivia.

Ora però la tesi del colpo di stato che avrebbe disarcionato Morales riprende vigore in seguito agli arresti operati da quella stessa magistratura che, nel periodo in cui Evo era caduto in disgrazia ed era esule dal suo Paese, lo aveva messo sotto accusa per sedizione e perfino per stupro, per i suoi rapporti con una minorenne. Tutte accuse che sembrano cadute nell’oblio dopo la vittoria di Luis Arce e del MAS alle ultime elezioni presidenziali e da quando Evo ha potuto far ritorno in patria dove dirige le campagne politiche del suo partito.

Vicende, l’una e l’altra, che difficilmente depongono a favore dell’autonomia del potere giudiziario da quello politico in un Paese dalla fragile democrazia, come la Bolivia. Dove gli arresti di questa notte sono stati letti come volontà di persecuzione nei confronti di esponenti del precedente governo, con condanne e denunce precise da parte di esponenti dell’opposizione, ma anche da parte di organismi internazionali come Human Right Watch, che ha giudicato l’accusa a Jeanine Áñez priva di ogni evidenza che abbia commesso il delitto di terrorismo, concludendo che si sarebbe in presenza di “un processo basato su motivi politici”.

Una vicenda che comunque andrebbe anche valutata nel complesso di quanto sta accadendo nelle ultime settimane in Bolivia, dove le elezioni tenutesi lo scorso 7 marzo nelle principali città del Paese hanno segnato una sonora sconfitta del MAS, che ha perso importanti realtà e dove in altre è impegnato in un difficile ballottaggio.

Più che un campanello di allarme che all’interno del MAS ha acuito le tensioni e le critiche nei confronti delle scelte di Evo Morales, e che ha provocato la crisi più importante da quando è tornato al potere, e rivelato un Movimiento che ha perso il voto cittadino e dove la componente campesina si sta rivelando, con tutte le conseguenze del caso, predominante.

Considerato poi che all’ex presidente, attualmente sempre più oggetto di critiche, la situazione potrebbe essere perfino utile a far distogliere l’attenzione della base dalle difficoltà vissute in questi giorni, facendo sperabilmente dimenticare i colpi avversi ricevuti da ex esponenti del MAS, scartati da Evo come propri candidati.

Da Eva Copa eletta a El Alto, a Christian Càmara a Trinidad, a Ana Lucia Reis a Cobija, tutta gente che era nata col MAS e che da esso si è allontanata portandosi appresso quel voto cittadino che sembra aver abbandonato il partito di provenienza, mettendo in serio pericolo la sua prospettiva di riperpetuarsi al potere e soprattutto la leadership indiscussa esercitata fino a poco fa da Evo.