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L’epidemia di coronavirus potrebbe essere lo strumento con il quale governi autoritari potrebbero ancor più restringere gli spazi e le libertà democratiche. Se in tutto il continente latinoamericano inizialmente da parte dei governi si è sottovalutato il pericolo di contagio, il diffondersi della crisi, che ha fino ad ora provocato 1762 morti di cui 800 nel solo Brasile, ha affidato un ruolo centrale alle forze armate dei vari paesi. Provvedimenti come la chiusura delle frontiere hanno prodotto un’ondata di difesa nazionalistica che potrebbe nuocere alle istituzioni di paesi la cui democrazia non sempre poggia su una consolidata tradizione.

Di questa preoccupazione si è fatta interprete oggi Michelle Bachelet, alto commissario per i diritti umani, che ha messo in guardia contro il pericolo che alcuni governi possano usare il pretesto della diffusione del coronavirus per introdurre cambiamenti repressivi destinati a prolungarsi dopo la fine della crisi epidemica.

«Mi preoccupa profondamente l’adozione da parte di alcuni paesi di poteri illimitati non soggetti a revisione” ha detto Bachelet, osservando che “l’epidemia si sta usando per giustificare cambiamenti repressivi della legislazione convenzionale, che rimarranno in vigore molto dopo la fine di questa emergenza.”

Bachelet, pur non nominando i paesi che avrebbero intrapreso questa strada e ammettendo che le misure che si stanno adottando sono necessarie, ha affermato che non si tratta di “un assegno in bianco per dimenticare gli obblighi nei confronti dei diritti umani”, ribadendo che le misure adottate devono essere “necessarie e proporzionate” informando la popolazione sul loro contenuto e durata.

Bachelet ha anche denunciato le iniziative prese da alcuni governi per imporre limiti alla libertà di stampa e di espressione con la scusa di combattere la disinformazione. “In alcuni paesi abbiamo saputo di giornalisti sanzionati per aver denunciato la scarsità di mascherine, e di lavoratori sanitari ripresi per aver detto che non hanno sufficiente protezione, o di gente arrestata per aver parlato della pandemia nelle reti sociali.”